Secondo l’articolo 10 della legge 157/92 il piano faunistico venatorio è uno strumento indispensabile per la sostenibilità, almeno teorica, dell’attività venatoria.
Secondo il comma 10 dell’articolo 10 della legge 157/92 le regioni devono attuare la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali; spetta all’ISPRA il compito di garantirne l’omogeneità e la congruenza.
Il piano faunistico per legge deve prevedere le zone di protezione, le aree in cui può svolgersi l’attività venatoria (ATC e CA) e le modalità con cui la caccia va svolta, in rapporto alle problematiche ambientali e alle esigenze prioritarie di conservazione della natura.
Il piano faunistico-venatorio regionale determina i criteri per l’individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie (AFV), di aziende agri-turistico-venatorie (AATV) e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.
Al momento della pubblicazione di questa pagina, febbraio 2019, solo 10 regioni italiane dispongono di piano faunistico venatorio valido. Appena 4 regioni hanno un piano realizzato nell’arco degli ultimi cinque anni. Per le altre, la pianificazione è del tutto assente o scaduta da tempo. La Regione Lazio, ad esempio, ha un piano faunistico venatorio, pur formalmente vigente, di circa 20 anni fa. La Regione Lombardia di fatto non ha un piano faunistico valido.
Provate ad immaginare quanto possa essere cambiato il nostro territorio in 20 anni! Quanti immobili, strade, infrastrutture, vegetazione, ambiente tolti alla fauna e non considerati nei piani faunistici venatori!
Le regioni quindi concedono di sparare ad un numero di animali ipotetico, sia perché i censimenti sono approssimativi, sia perché il territorio disponibile si riferisce a documenti vecchi anche di decenni.
Molte regioni approvano calendari venatori senza piani faunistici validi.
Secondo quanto previsto dall’articolo 10 della legge 157/92 il piano faunistico-venatorio è uno strumento indispensabile per la sostenibilità, almeno teorica, dell’attività venatoria. È uno strumento tecnico-politico di pianificazione che, a partire dalla situazione attuale della fauna e delle sue criticità, individua le azioni gestionali necessarie al raggiungimento degli obiettivi regionali e/o provinciali in materia.
Il piano faunistico, per legge, deve prevedere le zone di protezione, le aree in cui può svolgersi l’attività venatoria (come Ambiti Territoriali Caccia e Comprensori Alpini) e le modalità con cui la caccia va svolta, in rapporto alle problematiche ambientali e alle esigenze prioritarie di conservazione della natura.
Il piano faunistico-venatorio regionale determina i criteri per l’individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie (AFV), di aziende agri-turistico-venatorie (AATV) e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale.
Il piano faunistico-venatorio regionale dispone quanti animali delle varie specie cacciabili possono essere “prelevati” (uccisi) dai cacciatori.
Al momento della pubblicazione di questa pagina (marzo 2019) solo 10 regioni italiane dispongono di un piano faunistico venatorio valido. Appena 4 regioni hanno un piano realizzato nell’arco degli ultimi cinque anni. Per le altre, la pianificazione è del tutto assente o scaduta da tempo. La Regione Lazio, ad esempio, ha un piano faunistico-venatorio, pur formalmente vigente, risalente a circa 20 anni fa, mentre la Regione Lombardia non ha mai avuto un piano faunistico.
Provate ad immaginare quanto possa essere cambiato il nostro territorio in 20 anni: quanti nuovi immobili, strade, infrastrutture e quanta vegetazione e ambiente tolti alla fauna e non considerati nei piani faunistici venatori.
Le regioni quindi concedono di sparare ad un numero di animali ipotetico, sia perché i censimenti sono approssimativi, sia perché il territorio disponibile si riferisce a documenti vecchi anche di decenni.
Inoltre, poiché la caccia insiste anche su siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale creati dall’Unione europea per la protezione e la conservazione degli habitat e delle specie, tutti i piani faunistico-venatori regionali e provinciali devono essere assoggettati a Valutazione di Incidenza, misura tuttavia poche volte adottata in Italia.
Quindi accade che molte regioni approvino calendari venatori senza avere piani faunistici oppure senza che questi siano aggiornati o validi.
Inoltre i calendari venatori devono essere deliberati con atti amministrativi, mentre alcune regioni, come ad esempio la Lombardia, lo hanno approvato con una legge regionale, un espediente disonesto adottato per evitare i ricorsi amministrativi delle associazioni, alle quali resta come unica risorsa rivolgersi al governo affinché impugni la legge regionale illegittima presso la Corte Costituzionale, con conseguenti difficoltà e allungamento dei tempi.
A questo quadro critico si aggiunge la situazione delle specie di uccelli cacciabili; ben 19 sono le specie in stato di conservazione sfavorevole messe ulteriormente in pericolo dall’attività venatoria: canapiglia, codone, marzaiola, mestolone, moriglione, moretta, fagiano di monte, pernice rossa, pernice sarda, coturnice, starna, quaglia, pavoncella, combattente, frullino, beccaccia, beccaccino, tortora, allodola. E 5 di queste (tortora selvatica, coturnice, pavoncella, moriglione e tordo sassello) sono addirittura classificate come minacciate a livello globale dal nuovo rapporto Birds in Europe, specie che andrebbero immediatamente sospese dai calendari venatori e considerate oggetto di speciali interventi di tutela.